Premessa: questo blog ha assunto già da tempo una posizione circa l’olio di pesce e gli omega 3, ai nuovi lettori vale segnalare la mia traduzione (fatta in maniera sbrigativa, lo so 🙂 ) di un articolo di Ray Peat su questo argomento, per farsene un’idea. In assoluto è l’articolo più letto del blog, segno che quest’argomento è di notevole interesse. Non pretendo che tutti assumano la stessa posizione, ma il tempo, forse, dirà come stanno le cose. Ancora oggi tra i medici vige l’idea imperante del grasso saturo come nocivo e grasso polinsaturo benefico, quindi prima che si possa parlare diffusamente della pericolosità dell’olio di pesce mi sarà cresciuta la barba bianca. Ray Peat è spesso in anticipo sui tempi, l’averlo scoperto un anno fa mi ha permesso di divulgare pensieri e concetti estranei nel panorama italiano, e non nascondo un certo orgoglio nel portare avanti le sue idee. Sono tutti presi a leggere gli ultimi studi sugli omega 3, sui loro benefici effetti, ignorando totalmente i possibili effetti collaterali, lo studio sul cancro prostatico in relazione agli omega 3 è sembrato come una bestemmia e gli ambienti alternativi (zonisti e paleodietisti in cima) si sono affrettati a smentire, a trovare i limiti procedurali e generali dello studio; la domanda è: perché non riversano altrettanta perizia negli studi a favore? La risposta: Perché sono affetti da bias, dal pregiudizio. Non che io ne sia immune, ma certamente dobbiamo considerare ciò quando valutiamo dei concetti.
Olio di pesce peggio dei grassi trans!
Come tutti sappiamo, i grassi trans sono agenti cancerogeni che dovrebbero essere evitati. Ciò che la maggior parte dei medici non si rende conto è che l’olio di pesce è in realtà peggiore dei grassi trans, come recentemente dimostrato nello studio seminale riportato nel Journal of National Cancer Institute (JCNI) – Theodore, M., et al., “Plasma Phospholipid Fatty Acids and Prostate Cancer Risk in the SELECT Trial.
Brian Peskin
PUFA(acidi grassi polinsaturi), cancro e cardiopatie: Chi è Brian Peskin? Non bastava quel pazzo visionario di Ray Peat? Il Prof. Brian Peskin è un ricercatore di livello mondiale specializzato in EFA (Essential Fatty Acid ossia Acidi Grassi Essenziali), da lui ribattezzati PEOs (Parent Essential Oils, ossia oli essenziali precursori), e il loro rapporto diretto con il cancro e le malattie cardiovascolari. Mentre avanza la comprensione scientifica del ruolo degli acidi grassi essenziali nei percorsi metabolici del corpo, ha contemporaneamente sviluppato un mezzo per alleviare la causa primaria del cancro, secondo i postulati del premio Nobel Otto Warburg, MD, Ph.D., aumentando l’ossigenazione cellulare. Sorprendentemente, c’è una connessione tra malattie cardiache e cancro, per cui la stessa soluzione fisiologica risolverebbe entrambe le condizioni. Otto Warburg scoprì che la caratteristica del cancro è la produzione di acido lattico in presenza di ossigeno (glicolisi aerobica). Warburg riteneva che le cellule tumorali hanno un “difetto respiratorio”, o un qualche tipo di lesione mitocondriale che utilizza grandi quantità di glucosio, anche in presenza di ossigeno. Pertanto le cellule tumorali dimostrano un fallimento dell’effetto pasteur, che è la normale risposta cellulare che rallenta la glicolisi in presenza di una quantità sufficiente di ossigeno. Ray Peat ha scritto molto sul cruciale enzima respiratorio mitocondriale, il citocromo c ossidasi, che occupa l’ultimo anello della catena di trasporto degli elettroni ed è essenziale per il consumo dell’ossigeno. Un fosfolipide trovato nei mitocondri, chiamato cardiolipina, sostiene l’attività del citocromo c ossidasi, e la sua composizione cambia nell’invecchiamento, “nello specifico da un aumento di acidi grassi insaturi” (Lee et al, 2006;. Paradies, et al. , 1999). Un bassissimo consumo di grassi polinsaturi aumenta la respirazione mitocondriale (Rafael, et al., 1984).
Queste informazioni porterebbero ad una nuova possibilità di poter trattare e prevenire sia il cancro sia le malattie cardiache. La base per i lavori in corso di Peskin, fondata secondo egli rigorosamente sullo stato dell’arte scientifica (in particolare, la fisiologia) può essere trovata nei suo lavori seminali e peer-reviewed di articoli e riviste mediche. I medici di tutto il mondo stanno comunque convalidando le raccomandazioni del prof. Peskin sugli EFA. Il motto che ripete spesso è: “scienza, non opinioni!”. Ha sostenuto per anni la sospensione dell’integrazione dell’olio di pesce a favore di un rapporto biologicamente adeguato di omega 6 e omega 3 . Ha trascorso molti anni a supportare la sua tesi in occasione di conferenze mediche di tutto il mondo. Ha resistito con successo ai continui attacchi da parte di coloro che hanno ciecamente difeso lo status quo, ma alla fine è riuscito a spuntarla, almeno per quanto riguarda l’olio di pesce e la salute del cuore. Maggio 2013: momento in cui l’establishment medico ha abbracciato una delle sue fondamentali scoperte, in particolare la sbagliata convinzione dell’olio di pesce come salutare per il cuore. La prima volta nel New England Journal of Medicine, un grande e ben fatto studio nella nostra Italia ha dimostrato che l’olio di pesce è stato completamente inefficace nel prevenire la malattia di cuore per un grande gruppo di pazienti ad alto rischio. Poco dopo, il dottor Eric Topol, un famoso e influente cardiologo, genetista e caporedattore di Medscape, raccomanda la sospensione di tutti gli integratori di olio di pesce per la prevenzione delle malattie cardiache. Forse non dovrò aspettare che mi venga la barba bianca…
PEOS, Oli Essenziali Precursori: Spesso viene chiesta a Peskin la differenza delle sue raccomandazioni “EFA-based” dalle altre. La risposta è semplice e significativa. Il termine “acidi grassi essenziali” è abusato così di frequente che è stato costretto a coniare una nuova frase, Oli Essenziali Precursori (PEOs). Questo termine si riferisce agli unici due veri acidi grassi essenziali: il precursore omega 6 (LA) ed il precursore omega 3 (ALA). Il termine “precursore” è usato perché queste sono le forme non adulterate dei due soli grassi essenziali che il corpo richiede, dice Peskin. Una volta che i PEOs sono ingeriti, il corpo metabolizza una piccola percentuale di loro, circa il 5%, in altre sostanze biochimiche chiamate “derivati”, lasciando il restante 95% in forma invariata. Questo è fondamentale per la comprensione. Ci sono una miriade di grassi omega 6 e omega 3 che vengono venduti come EFA ma che EFA non sono, ma ​​piuttosto derivati degli essenziali come EPA, DHA e GLA. Gli oli di pesce sono costituiti quasi esclusivamente di derivati degli omega 3. Scientificamente e biochimicamente, chiamare i grassi derivati quali EPA, DHA e GLA, con il termine “EFA” è sbagliato. I derivati ​​non sono EFA perché non sono essenziali, il corpo ha la capacità di farli quando e se necessario. La ricerca di Peskin ha dimostrato che l’integrazione con EFA derivati, ​di quelli che comunemente si trovano nel mercato, e scambiati per “EFA”, possono facilmente essere dannosi per la salute perché il corpo non ne ha bisogno e non vuole questi derivati, i sovradosaggi con derivati possono essere molto pericolosi, sempre secondo lui. Gli effetti dannosi degli oli di pesce vengono da Peskin stimati in 10 anni, c’è ancora tanto tempo per farsi del male.
Un punto di vista alternativo: Chris Masterjohn, PhD, è ideatore del sito colesterolo-and-Health.Com e un frequente contributore della rivista trimestrale della Weston A. Price Foundation, autore di cinque pubblicazioni peer-reviewed, e ha presentato due documenti sperimentali supplementari per la revisione paritaria, uno dei quali è stato accettato per la pubblicazione. Chris ha un dottorato di ricerca in Scienze della Nutrizione presso l’Università del Connecticut e attualmente lavora come Associate Postdoctoral Research presso la University of Illinois, dove studia le interazioni tra le vitamine A, D e K.
C.Masterjohn identifica soltanto due acidi grassi essenziali: acido arachidonico (AA) della famiglia omega 6 e acido docosaesaenoico (DHA) della famiglia omega 3. Entrambi, dice, sono costituenti necessari delle membrane cellulari, ma entro un certo limite. Inoltre, devono essere equilibrati l’uno all’altro. L’acido eicosapentaenoico (EPA), che si trova nell’olio di pesce, non è un EFA. L’eccesso di EPA può esacerbare alcuni sintomi di una carenza di EFA.
I requisiti per gli EFA come componenti della dieta sono estremamente bassi. Essi sono al massimo lo 0,5% delle calorie durante la crescita o periodi di recupero. Altre volte, sono ancora più bassi. Poiché la maggior parte dei grassi, saturi e non, contengono una serie di diversi acidi grassi, sarebbe quasi impossibile indurre una carenza di EFA attraverso la dieta.
AA può essere sintetizzato nel corpo dall’acido linoleico (LA) e DHA può essere sintetizzato dall’acido alfa-linoleico (ALA). Pertanto, secondo Chris, sarebbe presumibilmente sufficiente fornire soltanto AA e ALA nella dieta. Tuttavia, le famiglie omega 3 e omega 6 competono per gli stessi enzimi nel processo di conversione. Il corpo non ha alcun meccanismo di regolazione per controllare questa competizione. Pertanto, un eccesso in una famiglia può causare una deficienza nell’altra. Inoltre, un sovraccarico generale di PUFA diminuisce la produzione di tali enzimi e aggrava il problema della competizione enzimatica. DHA e AA forniti direttamente nella dieta non richiedono enzimi per la conversione e quindi non comportano una concorrenza.
Anche se il corpo non ha alcun meccanismo di regolazione per il controllo della competizione per gli enzimi tra acidi grassi omega 6 e omega 3, è in grado di controllare i rapporti dei tessuti cellulari. Questo è vero solo finché i PUFA rimangono una piccola percentuale della dieta. Come la percentuale di PUFA nella dieta aumenta, l’abbondanza di una famiglia di acidi grassi induce una carenza nell’altra.
Un eccesso di PUFA nella dieta verrà immagazzinato nel tessuto adiposo (cellule di grasso). I PUFA in eccesso nel tessuto adiposo abbassano il livelli sierici di vitamina E, aggravando ulteriormente lo stress ossidativo. I componenti specifici delle particelle di colesterolo LDL ossidate sono i derivati ​​ossidati dell’acido linoleico.
I PUFA stessi contribuiscono allo stress ossidativo nel corpo perché la reazione tipica dell’ossidazione richiede due doppi legami (si escludono così i mono-insaturi e i grassi saturi). Il corpo non può completamente attenuare questo fenomeno, anche con l’abbondanza di antiossidanti come la vitamina E. Pertanto, eccesso dietetico di PUFA contribuisce alla ossidazione e infiammazione nell’organismo. Il corpo dei mammiferi sembra orientato per eliminare l’eccesso di PUFA, usandolo preferenzialmente per la produzione di energia (in contrapposizione agli scopi strutturali) anche in presenza di una carenza estrema di EFA, in sostanza è questo ciò che afferma Chris, che non sapevo fosse così Ray Peat oriented!
Questione di stabilità : Sembra scontato consigliare solo grassi non rancidi e utilizzare metodi di conservazione corretti. La maggior parte dei grassi lavorati industrialmente nella nostra dieta sono già ossidati, vedi le patatine fritte. Il corpo non può fare nulla con questi grassi e deve immediatamente cercare di fermare le reazioni ossidanti che inducono. I grassi omega 6 sono molto inclini all’irrancidimento ma gli omega 3 lo sono ancora di più. Le migliori fonti di questi grassi sono i prodotti di origine animale nutrita ad erba come il latte, burro, carne bovina, e organi. I grassi omega 3 possono essere facilmente danneggiati dalla cottura di modo che il pesce dovrebbe essere cotto leggermente o mangiato crudo (dopo abbattimento), come il sushi. Gli oli dovrebbero essere spremuti a freddo e conservati in contenitori scuri in un luogo fresco, meglio se refrigerati. L’integrazione di questi grassi potrebbe portare a squilibri nutrizionali e alcuni tipi di tossicità , specialmente se la conservazione non è osservata scrupolosamente. L’ossidazione di questi lipidi produce non solo odori e sapori rancidi, ma può anche diminuire la qualità e sicurezza nutrizionale con la formazione di sottoprodotti. Per risolvere il problema, sono stati aggiunti antiossidanti quali la vitamina E e aggiunti aromi che coprono l’odore sia di pesce che di possibile rancido, al fantastico gusto di ciliegia o di limone. Uno studio ha testato la stabilità dell’olio di pesce, simulando uno stoccaggio a 10°C e una mezz’ora a temperatura ambiente prima dell’assunzione, il tipico consumo di olio di fegato di merluzzo o di omega 3 in Islanda, in genere una grande bottiglia di olio di pesce (500 ml) può durare fino a 2 mesi prima che sia finita. Durante quel tempo la bottiglia può essere messa ogni giorno in frigorifero e lasciata sul tavolo della colazione fino a 30 minuti. Una modalità di consumo simile è stata trovata con l’olio di fegato di Pollack in Corea del Nord. Tuttavia, non è stato trovato un metodo antiossidante corretto durante il consumo di olio di pesce e a causa dell’ossidazione sapori e odori indesiderabili si sono verificati, altrettanto i cambiamenti ossidativi di EPA e DHA. I siti di attacco da parte dell’ossigeno sono le porzioni insature delle parti di acido grasso dei trigliceridi (Stansby 1967). Grazie al suo elevato contenuto di acidi grassi polinsaturi, tra EPA e DHA, gli oli di pesce sono altamente sensibili al deterioramento ossidativo e la velocità di ossidazione dell’olio di pesce è significativamente diversa da quella di altri oli (Boran et al. 2006). Vari fattori governano le reazioni ossidative che avvengono presso i centri di insaturazione (Stansby 1967). Oltre ad essere influenzata dalla temperatura e dal grado di insaturazione, l’ossidazione può essere accelerata o ritardata da vari agenti catalitici. Alcuni metalli, luce visibile e la luce con lunghezze d’onda più corte, alcuni enzimi ossidativi, e altre sostanze biologiche, come l’emoglobina, accelerano notevolmente questo tipo di deterioramento ossidativo. L’emoglobina accelera l’ossidazione e non c’è da stupirsi se Ray Peat dice che nel corpo gli omega 3 irrancidiscono in maniera elevata. Durante l’autossidazione dell’olio di pesce, sapori e odori indesiderabili si sviluppano a valori molto bassi di perossido nelle prime fasi ossidative, anche durante il periodo di induzione (Boran et al. 2006), in chimica e biochimica,il periodo o tempo di induzione, per alcune reazioni, è il periodo iniziale durante il quale il processo appare quiescente. Un gran numero di aldeidi saturi e insaturi, chetoni, acidi e altri prodotti sono stati isolati dagli oli ossidati, e hanno dimostrato di contribuire ai sapori e odori indesiderabili. I prodotti dell’ossidazione lipidica sono noti per essere pericolosi per la salute poiché sono associati all’invecchiamento, al danneggiamento delle membrane, alle malattie cardiache ed al cancro (Suja et al. 2004), tutto ciò che gli omega 3 dovrebbero in teoria prevenire. È stato riportato che il consumo di questi grassi ossidati causano diarrea, ingrossamento del fegato, cambiamenti istologici nei tessuti di animali da esperimento (Nwanguma et al. 1999). La produzione di composti carbonilici biologicamente attivi da lipidi, inclusi acroleina, malonaldeide (MA o MDA) e 4-idrossi-2-nonenale (4-HN) durante l’ossidazione, è stata riportata da molti ricercatori (Miyake e Shibamoto 1996). Questi prodotti chimici sono stati associati con malattie come l’arteriosclerosi, cataratta e invecchiamento. Ad esempio, l’acroleina ha causato diversi effetti citopatici. MA è stato implicato nell’invecchiamento, mutagenesi e carcinogenesi. Quasi tutti gli amminoacidi reagiscono con i prodotti primari e secondari dei lipidi ossidati, diminuendo così l’utilizzazione digestiva delle proteine, degli aminoacidi e dei grassi (Varela et al. 1995).
Inizialmente ci sono piccole variazioni nei valori di perossidi nell’olio di pesce. Il numero di perossidi passa da circa 2 a 4,5 (mEq/kg) in 30 giorni. Un rapido aumento di perossidi viene osservato alla fine dell’esperimento (42 esima giornata di stoccaggio) schizzando a 14 (meq/kg). I valori di perossido nei campioni non hanno raggiunto i 20 meq/kg nel lasso di tempo di 42 giorni, valore che considera l’olio rancido (HRAS et al. 2000). Ma il limite di perossidi suggerito per la qualità e l’accettabilità degli oli per il consumo umano è di 8 meq/kg (Boran et al. 2006). Per confronto l’olio di cocco ha un valore di perossidi di 0,24–0,49 meq/kg! (D. Moigradean et al. 2012).

Perossidazione Olio di Pesce
Risultati simili sono stati trovati in uno studio di Boran et al.(2006). Hanno riferito che durante la conservazione a 4 °C, valori di perossido di diversi oli di pesce hanno raggiunto il limite accettabile di 8 meq/kg dopo 60 o 90 giorni e dopo almeno 150 giorni a -18 °C. Questo fatto dimostra che la temperatura di conservazione ha avuto importanti effetti sulla stabilità dell’olio di pesce. E tu? come conservi il tuo olio di pesce o le tue capsule? E’ un fatto accertato che maggiore è il grado di insaturazione, maggiore è il tasso di autossidazione degli oli (Stansby 1967). Le capsule di omega3 sigillate dovrebbero avere bassa permeabilità all’ossigeno e gli antiossidanti dovrebbero estendere la durata, ma la conservazione riveste ancora un ruolo primario, negli scaffali o nei magazzini dove vengono stipati prima della vendita non credo ci sia tanta premura(leggi qui per consocere la qualità delle capsule in vendita). Ad ogni modo, l’aggiunta di vitamina E (tocoferolo) nell’olio di pesce, come conservante, riesce ad aumentare la stabilità solo di pochi giorni.
Lunghe Conclusioni: Bisognerebbe limitare severamente tutti i PUFA dalla dieta. Le esigenze dietetiche per gli EFA sono estremamente basse e possono essere adeguatamente soddisfatte con i grassi per lo più saturi che forniscono una certa protezione ai pochi PUFA presenti: burro, olio di cocco, strutto etc. Tutti i PUFA contribuiscono allo stress ossidativo e quindi a malattie degenerative. Aumentare i PUFA nella dieta sembra esacerbare una carenza di EFA, ammesso che siano così essenziali. Integrare con omega 3 pensando che gli omega 6 siano troppo alti nella dieta non è naturale e non è necessario, anzi proprio da evitare, abbiamo visto che ulteriori PUFA sono solo dannosi, ciò è stato osservato anche da uno studio già discusso nel forum in cui si dice che l’infiammazione causata dagli acidi grassi omega 6 peggiora con l’aggiunta di omega 3. Inoltre la stabilità di questi grassi è veramente precaria, l’ossidazione per di più è accelerata da sostanze biologiche che si trovano nel nostro corpo. Il valore di p-anisidina correlato con la presenza di chetoni e aldeidi (prodotto secondario dell’ossidazione) che è tossico, nell’olio di pesce ha un valore iniziale di circa 20, mentre ad esempio l’olio di cocco ha un valore iniziale di 0,19 che sale miseramente a 0,87 dopo un anno a temperatura di 25°C (D. Moigradean et al. 2012). Nei ratti l’aggiunta di olio di pesce nella dieta pare ridurre la concentrazione di emoglobina e pare provocare ritardi di crescita (DomÃnguez Z. 1994). Alcuni minerali e vitamine come la B6 e la biotina riducono il presunto fabbisogno degli EFA, un aspetto poco considerato.
L’olio di pesce (e l’olio di krill) non funzionano nella pratica clinica (nonostante la maggior parte dica di sì). A volte, convinzioni radicate, anche quelle senza fondamento scientifico, sono difficili da cambiare. Come è accaduto per molti altri supplementi nutrizionali una volta alla ribalta, c’è poca, se presente, validità scientifica sull’olio di pesce e sulle pretese miracolose dell’olio di krill. Si tratta semplicemente di un altro caso di “finanza mascherata da scienza “- in questo caso, lo sviluppo di nuovi mercati. […] I risultati costituiti da semplici “associazioni”, e “studi” condotti senza esperimenti validi, in cui una sola variabile cambia nel tempo, sono privi di significato. Ecco perché le raccomandazioni della maggior parte degli “studi” sono poi invertite e ritirate, lasciando il pubblico confuso […] I vecchi studi erano sbagliati, ma molti medici non sono a conoscenza dei nuovi studi compiuti dopo il 2010. – Brian Peskin
Un articolo del 2010 pubblicato nel Medical News Today e su una rivista medica, Cancer and Research, ha rivelato alcune informazioni sorprendenti. Un gruppo di ricercatori della Michigan State University, guidati da Jenifer Fenton, uno scienziato dell’alimentazione e ricercatore sulla nutrizione umana, ha ipotizzato che nei topi gli alimenti arricchiti con olio di pesce (DHA), farebbe diminuire loro il rischio di cancro. Ma hanno scoperto esattamente il contrario. Quando ai topi sono state date dosi elevate di olio di pesce, hanno sviluppato una grave colite (infiammazione) e poi sono morti per cancro in fase avanzata del rivestimento del colon (adenocarcinoma), solo quattro settimane dopo l’infiammazione. Fenton ha detto: “I ​​risultati confermano una crescente letteratura che implica gli effetti nocivi del consumo di dosi elevate di olio di pesce in relazione a determinate malattie“. Uno studio molto ben progettato pubblicato nel Journal of American Medical Association (JAMA), dissipa l’ingenua nozione che il DHA e quindi l’olio di pesce sia benefico nei disturbi cognitivi. I ricercatori hanno recentemente concluso che il DHA non è riuscito a rallentare il declino cognitivo e funzionale nella popolazione vittima della malattia di Alzheimer. In effetti, i risultati negativi dell’integrazione di olio di pesce e il suo aumento del rischio di cancro sono stati già discussi e pubblicati nel giugno del 2006 e in occasione del 4° congresso di The International Society for the Study of Fatty Acids and Lipids (ISSFAL), che si è riunito a Tsukuba , in Giappone. In questa riunione di scienziati, è stato reso noto un articolo che asseriva che una vasta gamma di risposte delle cellule immunitarie erano diminuite dopo consumo di olio di pesce (omega 3 derivati), aumentando in tal modo i batteri cellulari (infezione) e riducendo la capacità del corpo di uccidere le cellule tumorali. Anche nel 1997, la relazione negativa tra olio di pesce e cancro della pelle era conosciuta. Uno studio di assunzione di olio di fegato di merluzzo di oltre 50.000 uomini e donne norvegesi nel corso di un periodo di 12 anni, ha trovato un forte aumento del rischio per il melanoma, il tipo più pericoloso di cancro alla pelle. Concretamente, l’incidenza di cancro della pelle negli utilizzatori di olio di fegato di merluzzo era circa tre volte superiore. Lo studio è stato particolarmente valido, in base al suo approccio imparziale, di alta partecipazione e del tasso di risposta, il fatto che i dati dietetici siano stati raccolti prima della comparsa del cancro, e che ogni partecipante ha avuto un follow-up completo per quanto riguarda le occorrenze di cancro, morte ed emigrazione. In realtà , tutti i medici e gli operatori sanitari, in Norvegia devono segnalare le malattie maligne al Cancer Registry, e il 98% di questi casi sono confermati con analisi tissutale microscopica. Questo garantisce una perfetto tracciamento e la conferma dei casi di cancro.
Per gli amanti evoluzionisti, gli esseri umani non sono stati creati e non si sono evoluti per avere i pesci come un’esigenza dietetica essenziale. Altrimenti non saremmo qui. L’idea adesso in voga che gli omega 3 abbiano aiutato a sviluppare il cervello conta almeno quanto l’altrettanto fondata idea dello sviluppo cerebrale ad opera degli zuccheri.
E’ universalmente accettato che gli esseri umani sono nati in Africa e poi migrati altrove. Siamo animali fortemente terrestri, se dovevamo prendere un pesce lo facevamo nei corsi d’acqua dolce e sui laghi delle pianure africane, difficilmente questi potevano essere grassi pesci freddi o artici ricchi di omega 3. Piuttosto pesce da acque più calde, che non hanno catene di acidi grassi polinsaturi, in quanto, semplicemente, non ne hanno bisogno per sopravvivere a temperature estreme, i pesci di acqua calda sono ricchi di grassi saturi.
Generalmente le società che mangiano molti pesci non sono tra le più sane e longeve del pianeta, eccetto ad Okinawa, e solo gli amanti acritici degli omega 3 possono pensare che quel risultato (più unico che raro) sia merito di un singolo fattore dietetico. In una visione più ampia che tenga a distanza l’ortoressia, quanto sopra esposto non vuol significare che si debba cancellare in toto il pesce dalla propria dieta. Il pesce è comunque un alimento naturale, e quello dei mari caldi con la sua composizione lipidica sembra più adatto alle nostre esigenze, come anche i pesci magri, crostacei e molluschi, però gli integratori di olio di pesce con il loro sovraccarico di grassi polinsaturi omega 3 sembrano (dagli studi citati) decisamente innaturali, e questa è una notevole differenza.
Sebbene i pareri riportati da Brian Peskin, Chris Masterjohn e Ray Peat non siano perfettamente allineati, ci sono validi elementi in comune e crescente letteratura medica per poter considerare pericoloso, o almeno di dubbia utilità per la salute, l’uso dell’olio di pesce e degli omega 3.
Potrebbe interessarti l’articolo sulla qualità degli omega 3 commerciali –> Olio di pesce oppure olio di serpente?
Ognuno cercherà sempre di trovare conferme negli studi che confermano la sua tesi, trascurando quelli opposti. Però è già molto significativo che stia venendo a galla questo lato B degli omega 3, visto che sembravano uno dei pochi capisaldi supportato da sufficiente evidenza scientifica. E qui sono riunite e spiegate bene tutte le voci controcorrente. Grazie
qui c’è un abstract che non mi sembra dica proprio le stesse cose…di sicuro leggere non ci fa mai male
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7598049
Intressante….
….senza parole…