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HIT E HIV A CONFRONTO

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(@andrea)
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Propongo questo articolo sul confronto tra due metodi di allenamento, l'hit e l'hiv (ovvero allenamento ad alta intensità e allenamento ad alto volume)

Tra libri, riviste e pettegolezzi da palestra, da una decina d’anni si sente parlare di allenamenti più brevi ed intensi; molti autori come anche diversi giovani istruttori, professano come questa sia l’unica vera soluzione di crescita per il natural body builder, e che, fino ad ora, tutto quello che avevamo fatto oltre le “prime due serie” poteva essere in buona parte superfluo o addirittura controproducente. Che sia veramente così?

Scrutando all’interno delle sale attrezzate non ci metteremo molto ad accorgerci che la maggior parte degli utenti, contrariamente a quanto la “moderna” scienza vorrebbe suggerire, svolgano esercitazioni concettualmente opposte (quindi con diversi esercizi e parecchie serie per ciascun muscolo), vantando, malgrado le più recenti teorie lo reputino assai più improbabile, dei risultati statisticamente validi e convincenti. Un fenomeno che saprà certo come influenzare qualunque neofita, il quale non esiterà molto prima di lanciarsi in sedute lunghe ed articolate, pratica che, tra le varie cose, apparirà senz’altro più facile ed istintiva. Se poi lo fanno tutti, sarebbe stupido agire diversamente!
Tuttavia, secondo i sostenitori dell’ H.I.T. (high intensity training), è proprio qui che è celato l’inganno. “Siamo bombardati dai messaggi fuorvianti delle riviste americane” – riferisce la scuola H.I.T. – “la cui filosofia è basata su massicce assunzioni di steroidi anabolizzanti in soggetti già per loro conto geneticamente dotati!” L’atleta naturale medio deve prendere coscienza delle diverse potenzialità sistemiche ed endocrine – ribattono ancora – e quindi dovrebbe commisurare a queste ultime il proprio allenamento. In tal modo l’intento di costruire massa muscolare sarà senz’altro maggiore – aggiungono infine.
Facili promesse che non hanno potuto evitare di generare cospicua curiosità, e non c’è da stupirsi se in molti hanno intrapreso la via dell’ H.I.T. proprio alla ricerca di nuovi stimoli!
Tra libri, riviste e pettegolezzi da palestra, da una decina d’anni si sente parlare di allenamenti più brevi ed intensi; molti autori come anche diversi giovani istruttori, professano come questa sia l’unica vera soluzione di crescita per il natural body builder, e che, fino ad ora, tutto quello che avevamo fatto oltre le “prime due serie” poteva essere in buona parte superfluo o addirittura controproducente. Che sia veramente così?

Scrutando all’interno delle sale attrezzate non ci metteremo molto ad accorgerci che la maggior parte degli utenti, contrariamente a quanto la “moderna” scienza vorrebbe suggerire, svolgano esercitazioni concettualmente opposte (quindi con diversi esercizi e parecchie serie per ciascun muscolo), vantando, malgrado le più recenti teorie lo reputino assai più improbabile, dei risultati statisticamente validi e convincenti. Un fenomeno che saprà certo come influenzare qualunque neofita, il quale non esiterà molto prima di lanciarsi in sedute lunghe ed articolate, pratica che, tra le varie cose, apparirà senz’altro più facile ed istintiva. Se poi lo fanno tutti, sarebbe stupido agire diversamente!
Tuttavia, secondo i sostenitori dell’ H.I.T. (high intensity training), è proprio qui che è celato l’inganno. “Siamo bombardati dai messaggi fuorvianti delle riviste americane” – riferisce la scuola H.I.T. – “la cui filosofia è basata su massicce assunzioni di steroidi anabolizzanti in soggetti già per loro conto geneticamente dotati!” L’atleta naturale medio deve prendere coscienza delle diverse potenzialità sistemiche ed endocrine – ribattono ancora – e quindi dovrebbe commisurare a queste ultime il proprio allenamento. In tal modo l’intento di costruire massa muscolare sarà senz’altro maggiore – aggiungono infine.
Facili promesse che non hanno potuto evitare di generare cospicua curiosità, e non c’è da stupirsi se in molti hanno intrapreso la via dell’ H.I.T. proprio alla ricerca di nuovi stimoli!
In parecchi hanno provato, in tanti hanno fatto retromarcia. Altri invece hanno continuato, alimentando quella nicchia di cultori e fautori dei training brevi ed intensi (Heavy Duty, B.I.I.O., ecc.) che, a tutt’oggi, pare essere nettamente inferiore soprattutto nel frangente dilettantistico. Ma come mai le tecniche H.I.T., sebbene così incoraggianti, sono meno utilizzate dei comuni H.V.T. (high volume training)?

Per non soffermarmi ad una mera opinione a riguardo, per anni seguii l’accurata strada dell’indagine, cercando risposta all’interessante quesito, non solo con la pratica esperienza ma pure con l’aiuto della matematica applicata all’esercizio. Razionalmente parlando, qualunque atteggiamento motorio potrebbe essere “precisamente” misurato previo complesse equazioni, ed ispirandomi alle formule dell’intensità di Filippo Massaroni (noto scienziato, ex mr. Universo), misi a punto una relazione ancor più precisa. Avevo tenuto conto della maggior parte dei fattori a disposizione: le molteplici tempistiche utilizzate, le ampiezze di movimento, i metabolismi impiegati in rapporto alla % di carico e la massa ponderale degli stessi soggetti. In pratica tutto quello che era in qualche modo misurabile.
Nell’agosto 2006 pubblicai nel mio primo libro (L’Arte del Wellness) l’inedita versione della bio-equazione, formula che, negli anni seguenti, migliorai fino a frammentarla in 3 definitive espressioni aventi un preciso ruolo all’interno del conteggio. La loro applicazione restituì risultati a dir poco sorprendenti… di fronte ad una relazione matematica si oscurava l’intero background esercitativo, e ciò che si aveva di fronte era il solo e “semplice” risultato del work-out; in sintesi, se svolti come da “regolamento”, entrambi i metodi generavano gli stessi risultati quantistici. L’unica differenza in effetti risiedeva nel solo modo in cui questi work-out venivano realizzati, e quindi nel tempo impiegato per completare la seduta; erano proprio questi fattori che caratterizzavano la filosofia del “breve ed intenso”.

Soffermiamoci per un momento ad osservare il training di tutti gli atleti dediti a pratiche ad elevato volume:

· Rusciamo ad individuare una particolare attenzione nello svolgimento dei vari esercizi, arricchita da un’efficace canalizzazione dello sforzo? Siamo altresì capaci d’apprezzare corretti atteggiamenti dinamico-posturali?
…direi che la maggior parte delle ripetizioni si risolvano in “perfette” esibizioni inerziali a carico di più organi muscolari, trascurando oltre misura quello che potrebbe essere il corretto atteggiamento anatomico-posturale!
· Possiamo appurare delle tempistiche d’esecuzione particolarmente concentrate sulle diverse fasi di movimento?
…tutt’altro che concentrate, specie sulle fasi negative che sembrerebbero essere quasi inesistenti o addirittura incomplete!
· E i tempi di recupero?
…sovente abbastanza comodi da riuscire quasi a completare il ripristino di ATP!

Sembrerebbe che in questo frangente ogni atleta sia più favorevole alla quantità che alla qualità, sistema decisamente scarso in termini d’abilità professionale! Si potrà altresì evincere come tutti questi poco peculiari elementi non significhino altro che una riduzione dell’intensità applicata, e proprio a tal motivo, per poter generare una considerevole illazione muscolare, dovranno per forza di cosa necessitare di un consistente volume di serie ed esercizi. Nulla a che vedere con il vero e proprio allenamento ad alta intensità, il quale, per motivi dinamici, anatomico-posturali e tempisitici diametralmente opposti, dovrà necessariamente essere più breve.
Non trascuriamo il fatto che la totale capacità di governare i parametri sopra elencati non si mostrerà cosa facile, ed è proprio per questo che parecchi individui non hanno potuto trarre il vantaggio desiderato da queste innovative tecniche. Ridurre semplicemente il volume della seduta senza modificarne prima l’approccio, sarebbe del tutto inutile!
Una volta acquisita la giusta padronanza del metodo, ecco che ad “obiettivo quantistico” raggiunto il nostro sistema di recupero risponderà sempre in relazione alla misura di stress ricevuta, e pertanto potremo tornare a parlare di uguaglianza anche in termini di frequenza delle sedute (il cui intervallo sarà sempre direttamente proporzionale allo stress raggiunto).
Bisognerebbe uscire dagli schemi tradizionali che vogliono obbligare il nostro work-out entro parametri prestabiliti; sarebbe scorretto imporsi una regola su durata e frequenza delle sedute senza prima valutare l’esatta misura qualitativa del nostro lavoro. La domanda che tutti i tecnici ed atleti si dovrebbero fare, non è quale sia l’ideale durata dell’allenamento, bensì quale sia il suo volume ottimale nei confronti di una stessa quantità di stress!
Gli errori più frequentemente commessi potrebbero essere sia quello di sottovalutare che, al contrario, di sovrastimare le conseguenze del training, assegnando spesse volte scarso volume e frequenza ad esercitazioni tecnicamente limitate, oppure, nel caso dei professionisti più attenti, eccessivo volume a work-out troppo intensi. I miei studi dimostrano che sia esageratamente breve, come anche troppo lunga, a parità di stress raggiunto, i parametri pervenuti dal nostro work-out non ci permetteranno di essere in una zona d’allenamento favorevole. Gli agenti cortisonici prenderanno comunque il sopravvento, trasformando il nostro intento anabolico in uno altamente catabolico…

Seguendo la teoria del caos, possiamo infine capire il perché molti soggetti riescano ad ottenere risultati ottimali sia adoperando pratiche ad elevato volume che metodiche brevi ed intense. E’ altamente probabile come tra un numero enorme di atleti all’opera in tutto il mondo si sviluppino casualmente gli stessi equilibri sopradescritti, dando perciò ragione a qualunque metodica impiegata nel mondo della cultura fisica. Palese evidenziare come tutti i training ad alto numero di serie ed esercizi siano più rapportabili alla preparazione del body builder medio, generando quindi maggior versatilità e quindi netto vantaggio sul piano statistico.
Se tuttavia ci sentiamo un po’ più professionisti che empiristi, e non vogliamo lasciare l’esito del nostro allenamento alla pura casualità, dovremo imparare a codificare l’esatta quantità di lavoro in rapporto al nostro organismo ed alle nostre attitudini, impiegando, quindi, una strategia che potremo definire fisiologica e FUNZIONALE.

Mai inizieremo a seguire questi concetti, e più a lungo continueremo a domandarci per quale assurdo motivo nell’ambito del body building si senta sempre tutto ed il contrario di tutto…

http://www.lucazilli.it/infotech.php?cat=fisiologia-ed-esercizio&id=181


   
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